27 settembre 2010

BUONI MOTIVI PER CUI TRASLOCARE

C'è stato un periodo in cui vivevo in un piacevole quartiere di Londra, vicino alla metropolitana e in un grande appartamento con una stanza enorme, pagando anche relativamente poco, e quando me ne sono andato in tanti mi hanno chiesto perché.
Ora che è passato abbastanza tempo per cui in pochi si ricorderanno le persone di cui parlo posso confessarlo: me ne sono andato perché un mio coinquilino era gay.
Ed ecco la storia.

Ero ancora nuovo a Londra, fresco dell'ideologia dell'università e desideroso di conoscere tutte le culture in cui mi imbattevo. Il mio inglese non era un gran che, e anche se cercavo avventura, a parte piccole storie di cui ridere con gli amici avevo solo avuto esperienze di seconda mano da racconti di altri: come quella del mio primo padrone di casa, che fino a pochi anni prima si divertiva coi suoi amici a passare il sabato sera cercando coppie di ragazzini neri e caricare di mazzate l'uomo fino a lasciarlo sul marciapiede sanguinante, mentre lei guardava.

Lavoravo in una casa di postproduzione a Soho, in una parallela di Oxford Street, che è forse la strada di Londra più trafficata dai turisti.
Sul lato opposto di uno dei palazzi c'era l'ufficio, e per arrivarci dovevo passare davanti a belle ragazze in minigonna all'uscita degli strip clubs, che a tutte le ore del giorno e della notte cercavano di adescarmi per farmi entrare nel loro locale, o loschi figuri con bustine di erba sminuzzata che ho sempre sospettato essere origano, a prescindere da quello che dicevano.

Una mattina verso le 10 un folto gruppo di signore assatanate aspettava l'apertura di un locale che prometteva lo spogliarello di un certo tizio palestrato in foto, e guardando le loro facce ho capito che quando le donne dicono di andare a uno spogliarello solo per ridere mentono.
Poco più avanti, sulla stessa strada, una scuola elementare.

C'era un velo nella comunicazione tra me e gli altri, tutto quello che capivo era che Londra è molto più cattiva di quanto sembra vista dall'Italia.
E gli inglesi non fanno sconti agli stranieri.

Un giorno il manager e il tecnico si preparavano per uscire, il manager mi guarda e mi dice:
- We're going to light up a fag, you want to join us? [fag: slang offensivo per omosessuale].
Per cercare di integrarmi avevo deciso di assecondare chi mi parlava e non dimostrare il mio disgusto quando mi raccontava qualcosa di rivoltante tipo i pestaggi dei neri per sport. Ma questa volta non ero sicuro di aver capito bene.
- Se voglio scendere con voi... a bruciare un ricchione?
I due si mettono a ridere e mi dicono che oltre a quello, fag è anche lo slang per sigaretta, e io sono diventato la barzelletta di quella settimana in ufficio.

La sera io e altri 2 dei 3 coinquilini dell'appartamento ci incrociamo in salotto, e dopo mesi di convivenza, per la prima volta iniziamo a chiacchierare: com'è nel tuo Paese, com'è nel mio, come ti trovi a Londra, quando vai a casa, cos'è quella cosa che ti mangi e che rimpuzzolisce il frigo? i soliti discorsi tra coinquilini che non hanno niente in comune, se non essere stranieri a Londra.
E dopo circa 2 ore in cui ormai abbiamo preso confidenza, io racconto di quello che mi è successo in ufficio.
Ma invece di ridere come abbiamo fatto finora si guardano in modo prima colpevole, e poi complice. E uno fa:
- A ** [nome del coinquilino assente] di sicuro piacerebbe essere acceso!
L'altro ride, io non capisco e chiedo spiegazioni. Lui prima allude, passando la palla all'altro che ride senza spiegarmi, poi, visto che sono di coccio, mi dice chiaro che ** è gay.
- Ma figurati - faccio io - E da cosa te ne accorgi?
A questo punto c'è incredulità nei loro occhi.
- Sculetta.
- Non ci ho mai fatto caso.
- Ha un pigiama di seta.
- E' comodo.
- Usa uno shampoo al balsamo.
- Tiene all'aspetto dei suoi capelli.
- Ogni week end viene un uomo.
- Sono amici.
- Tutti i week end?
- Sono molto amici.
- Si ferma a dormire nella sua stanza.
- Insegna a Oxford, sarebbe troppo lontano per tornare ogni volta.
- Dormono nel suo letto matrimoniale.
- Se avesse una camera degli ospiti, magari --
- Sono nella camera a fianco alla tua, MA NON LI SENTI LA NOTTE?!?!?
Concludiamo la serata e li lascio col beneficio del dubbio.

Chiamo mia sorella in Italia, che è venuta da poco a trovarmi per qualche giorno, la mia sorellina di 7 anni più piccola di me, e le chiedo:
- Ma secondo te è possibile che ** sia --
- Gay? Perché, in tutti questi mesi non te n'eri accorto?
- Ma da cosa lo capisci?
- SCULETTA!!

La mattina dopo vedo in bagno lo shampoo al balsamo passato inosservato negli ultimi 6 mesi e che ora costituisce prova indiziaria, e incrocio ** col suo pigiama azzurro di seta.
Ammetto che il sedere si muove un po' troppo quando cammina, ma lo definirei davvero sculettare?
Durante il giorno mi ripasso gli indizi sull'omosessualità di **, e con il passare delle ore lo scetticismo fa posto all'incredulità, e poi all'eccitazione: sono nel vivo della vita metropolitana londinese, ora ho anche io una storia di prima mano da raccontare, ho un coinquilino gay!!
Così inizio a pensare a chi potrei dirlo: i miei coinquilini lo sanno già, e così la mia famiglia. Non al lavoro, e non è che conosca tutta questa gente...
E poi come dirlo? Come una cosa incredibile, usando suspense? Con il distacco di chi è abituato a vedere di tutto nella sua vita metropolitana? Mi piacerebbe usare quella parola in slang ricorrente in questi giorni, più volgare dell'espressione volgare stessa, per sentire di aver tagliato un po' del velo che mi isola da questa cultura e dimostrare a me stesso che sto iniziando a possedere la lingua.
Poco dopo mi chiama l'unico amico inglese, convinto che io capisca quello che mi dice, e va avanti come al solito a racontarmi cose di cui non capisco neanche il senso generale, mentre io intermezzo il suo monologo con Oh e Dai, e e Mh mh.
Entro in appartamento, che è vuoto, e vado nella mia stanza, che lascio aperta nella concentrazione per cercare di captare una parola familiare.
Come al solito parla per mezz'ora senza chiedersi come mai io non abbia nulla da ribattere, ma quando sta per ringraziarmi della conversazione e riattaccare lo blocco, perché ora ho anche io qualcosa da dire!
Concentrandomi per trovare le parole scandisco come chi parla una lingua non sua, a voce alta come chi è insicuro.
- Ho una certa vita metropolitana anch'io qui a Londra. Pensa che, così, tanto per dirtene una delle tante, ho un coinquilino gay. Per me è una cosa normale, anche se non è solo gay, è proprio fag! Sai, di quelli che quando lo incroci pensi Ma guarda quello quanto sculetta! Sembra una ragazzina pronta per andare a divertirsi col primo che passa. Ah! Pensa che usa pigiami di seta e shampoo al balsamo! Sembra urlare Guardatemi quanto sono fag!! Poi ognuno faccia quello che vuole, non sono fatti miei se ogni week end si porta il fidanzato nella camera a fianco alla mia e ti lascio immaginare i rumori che si sentono --

In quel momento vedo un movimento alla mia porta, ** passa e io, alzando una mano, lo saluto come se mi facesse piacere vederlo.
Lui, con la voce di chi pensa al modo migliore per sbudellarmi, mi dice:
- Ciao.

E 2 settimane dopo ho cambiato casa.

22 settembre 2010

CRISTINA

Sono al supermercato, e una ragazza mi passa davanti. Ho un flash, non ci vediamo da circa 18 anni, ma i suoi occhi azzurri sono gli stessi.
E' agli yogurt e la guardo indeciso se avvicinarmi o fare finta di niente, col pensiero sempre più ingombrante che potrei sbagliarmi e farmi una delle solite figure che poi riporto sul mio blog.

Frequentavamo lo stesso corso di tennis, e anche se io ci andavo in bici, al ritorno facevamo un pezzo di strada a piedi insieme.
Ha un anno più di me, mi diceva che ero perspicace, ed è stata la mia prima cotta, se escludo Silvia dell'asilo, a cui non sono mai riuscito a rivolgere la parola.
A volte ho pensato a lei anche da adulto, chiedendomi come fosse la sua vita ora.
Così mi avvicino:
- Cristina?
Lei si gira, in un modo che non capisco se sia perché l'ho chiamata col suo nome o perché le ho parlato vicino. Mi guarda e nei suoi occhi non suonano campanelli.
- Ciao... sono Bartolo... facevamo tennis insieme... tu avevi i capelli corti e l'apparecchio [e una tuta blu con strisce sottili gialle ai lati...].
Lei mi guarda con la distaccata cortesia di una ragazza che pensa Oh mio Dio, un maniaco! Mi ha pedinata segretamente negli ultimi 18 anni e oggi ha trovato il coraggio di uscire allo scoperto, proprio in questo posto così affollato! E ora cosa faccio?
Sorridendo, mi dice:
- Accidenti, dal tennis, che memoria!
Ma secondo me si sta arrampicando sugli specchi.
- Tu non ti ricordi di me, vero? Bartolo, quanti ne conosci che si chiamano così?!?
- Il nome non mi è nuovo, ma non riesco ad associarlo a un... a una... a nulla.

Nella mia mente da quando l'ho vista a quando sono andato agli yogurt le avrei chiesto come stava, cosa faceva, com'era la sua vita e se era contenta, cosa le era successo di importante negli ultimi 18 anni e detto che era bello rivederla dopo tanto tempo.
Invece, sorridendo, le dico:
- Beh, allora è meglio chiudere qui i convenevoli del rimpatrio, o rischia di diventare imbarazzante.
- Salutami pure quando mi vedi - mi fa lei gentile. Una frase che forse accetterei da Sofia Loren.

Non è incredibile come un rapporto tra due persone per uno significhi tanto e per l'altro nulla?