22 maggio 2009

MA QUALCHE ATTORE L'HAI VISTO?

Certo. Solo che non è così facile rendersene conto, quando non sono in televisione.


Passeggiano e fanno compere sulla Croisette, che è la via principale di Cannes ed è piena di gente, quindi spesso non te ne accorgi neanche, fino a quando un collega al bar ti dice Oh, hai visto Tarantino? Era dalle parti di Dolce e Gabbana [nda: sono l'unico in tutta Cannes che non ha visto Tarantino].
Cammini e a un certo punto incroci uno e pensi Hey, ma non era Rossano Rubicondi quello?
Ci stai ancora pensando e ti passa davanti Dario Ballantini vestito da Valentino.
Poi c'è un'attrice che si sta facendo fotografare, vai, le parli, lei è gentile, ma non ti viene proprio in mente come si chiami, e non puoi chiederglielo, quindi la saluti, e intanto ricordarti come si chiama diventa un chiodo fisso.
Poi vai a un meeting e c'è Stefania Rocca sul divano, ed esclami: Claudia Pandolfi! Ecco come si chiamava!! [nda: in realtà era Valeria Solarino].
E a quel punto è meglio uscire di scena.

E poi sono un professionista accreditato: non posso chiedere agli attori una foto con me, non sarebbe professionale (almeno con quelli italiani).

Quindi sì, ho visto degli attori, sono stato in ascensore con James Gray e ho guardato le tette a sua moglie (clicka qui per la storia completa), ma non è la parte più interessante.

La vera cosa interessante e che nessun giornalista racconta è che è tutto finto, come i decolté che vedo in questi giorni: tutta questa inaccessibilità è in realtà un modo per il Comune di Cannes di far parlare dell'evento, su cui spende un sacco di soldi.
Perché se la gente sapesse che gli attori sono in giro, fanno compere e vanno al ristorante tutto diventerebbe normale, e non se ne parlerebbe più molto, come succede a Los Angeles e Londra.

Cannes è una bella cittadina che vive di turismo e che per 10 giorni all'anno ha i riflettori del Mondo puntati: non può permettersi che un attore copra a piedi e senza disturbare nessuno i circa 200 metri tra l'Hotel Martinez e il Palais.

Allora a una certa ora del pomeriggio la via principale viene transennata, e la polizia inizia a imbottigliare i pedoni.
Improvvisamente non puoi più camminare tranquillamente: vieni bloccato per far passare le macchine nere del Festival, che trasportano i VIP.
I poliziotti obbligano i passanti a schiacciarsi contro le transenne dell'Hotel Martinez (da dove escono le macchine del Festival), e questo fa aumentare la calca, a cui si aggiungono i curiosi attratti dalla concentrazione di gente.
La confusione diventa frenesia di vedere e fotografare qualcuno di conosciuto nelle auto.
Da un balcone dell'albergo si affaccia una ragazza a salutare il Popolo come una dea, e tutti la fotografano entusiasti, anche se è troppo lontana per capire chi sia.

Le macchine nere del Festival hanno la precedenza: tutte adesso, alcune entrano in albergo, alcune escono.

Ma chi ci sarà dentro?
Difficile dirlo, perché i finestrini di quasi tutte le macchine sono oscurati.

Non è strano? In fondo questo evento è incentrato sulla visibilità, che senso ha oscurare i vetri, invece di far vedere bene a tutti i fans questi attori che sono a pochi centimetri da loro?

A meno che...

IL GRANDE SEGRETO DEL FESTIVAL
Mi metto in un punto alla fine delle transenne, abbassato e con il sole in faccia. Una posizione scomoda, ma che mi permette di vedere l'interno dell'abitacolo delle macchine che mi passano lentamente davanti... e sono vuote.

Tutta questa calca di gente gioisce e si ammassa a fare foto a macchine vuote.
Quindi in realtà non ci sono gli attori? No: quelli stanno nelle macchine senza i finestrini oscurati.

E' l'idea dell'inaccessibilità di queste persone a renderle così affascinanti: quello che fino a 10 minuti prima si faceva tranquillamente gli affari suoi a prendersi un gelato in centro adesso è circondato da gorilla messi lì per proteggerlo.
Ma è proprio il Festival che ha inscenato questo bisogno di sicurezza.

E' tutto finto: l'anno scorso stavo facendo la coda per la proiezione di un film, e dietro di me avevo l'attrice di Notte Prima degli Esami Oggi. Solo che non mi ricordavo come si chiamasse e ho fatto finta di niente. Entro nel cinema, mi siedo, davanti a me c'è un maxischermo con quello che sta succedendo fuori ed ecco l'attrice che pochi minuti prima era in coda dietro di me ora sul red carpet a farsi fotografare e improvvisamente inaccessibile.

Ed ecco un'altra notizia: cosa succede se per caso qualche artista, per qualche motivo (per esempio non alloggia al Martinez, o non ha fatto in tempo a tornare all'albergo) si trova già al Palais, ma non ha fatto il suo bagno di folla?

In questo caso c'è un'entrata secondaria che li porta in un'area riservata, dove vengono presi da una delle macchine ufficiali, che fa mezzo giro del Palais (forse 150 metri) e li lascia davanti ai fotografi e alla folla.
Tutti da ammirare, ma non toccare.

20 maggio 2009

LA FINE DELL'INIZIO

A volte è difficile essere uomo e trattenere le emozioni, soprattutto ripensando alla fatica, e che quello potrebbe essere un inferno finito per sempre.Questi siamo io e Charles Fries: il mio distributore americano ed executive producer, con cui oggi ho firmato un accordo di distribuzione mondiale.

D'ora in poi ho tutte le garanzie che servono ai miei investitori e partners, posso prendere i loro soldi e fare il mio film.

Stringendomi la mano, oggi mi ha detto:
"The end of the beginning".

UN'INASPETTATA AVVENTURA

Questa sera sarei dovuto andare alla proiezione di un film a cui mi aveva invitato la regista, ma ho finito tardi e tra cambiarmi e mettermi a posto sono arrivato a proiezione già finita da un pezzo.


Quindi mi faccio una passeggiata: torno in appartamento a piedi, come faccio sempre, perché mi rilassa dopo la tensione di una giornata, anche se è a più di un'ora di strada.

Così sono triste per aver detto alla ragazza che sarei venuto a vedere il suo film e non l'ho fatto, stanco per essere stato tutto il giorno in piedi, con le spalle cadenti per aver scarrozzato una borsa pesante e con i piedi che fanno male perché mi sono messo in tiro e indosso per la prima volta un paio di scarpe nuove.
Tutto questo mi conferisce un'andatura lenta e ciondolante, a giudicare dalla mia ombra piuttosto sexy.
Arrotolo l'invito alla proiezione come una sigaretta e me lo passo tra le dita pensando agli affari miei, e in particolare che ho parlato tutto il giorno, ma non ho nulla da raccontare sul mio blog.

Sono su una lunga super strada che da una parte ha il traffico e dall'altra la ferrovia, seguita da una linea di alberi che copre la spiaggia e poi il mare.
Il posto potrebbe sembrare a prima vista malfamato, ma non ci sono spazi in cui fermarsi, quindi in realtà non c'è mai nessuno (comunque siamo a 1 km da uno dei posti più significativi al mondo per il cinema).

Una cosa mi ha colpito di questo posto: andando giù con lo sguardo spesso ho visto tra gli alberi una piattaforma a cielo aperto con luci psichedeliche e poche persone che ballavano o erano sui divanetti, ma non riuscivo a capire come potessero arrivarci, perché da una parte c'è il mare, dall'altra la ferrovia, ed è troppo lontano dalla città per andarci a piedi.
L'unica via è un ponte stretto che passa sopra la ferrovia: inizia dalla strada e poi scende in una scala a perdita d'occhio, ma ha l'aria di essere abbandonato e l'entrata è sempre stata chiusa da un lucchetto. Fino a stasera.

Da lontano vedo che il piccolo spazio tra il cancello e le scale è pieno, con 3 ragazzi che sembrano dei security che aspettano, illuminati solo da una flebile luce verde che io vedo perché sono a piedi, ma invisibile alle macchine che passano veloci, a meno che uno sappia dove guardare.
Continuo a camminare senza variare il passo, e improvvisamente 2 macchinoni mi passano vicino veloce e parcheggiano sul marciapiede.
Gli autisti scendono e aprono la portiera: dalla prima macchina escono delle ragazze geneticamente modificate per farti cadere la mascella, dalla seconda una ragazza accompagnata, con tanti gioielli che servono gli occhiali da sole.

Appena sono tutti scesi le macchine sgommano via.

Le ragazze della prima macchina mi si piazzano davanti, sul marciapiede stretto, davanti al cancello. Quelli della seconda macchina sono proprio dietro di me.

Metto il foglietto arrotolato in bocca come un sigaro, tenendolo solo coi denti, e aspetto il mio turno per passare, perché è troppo stretto.
Le prime ragazze mostrano l'invito, e poi corrono su per le scale, e arrivate al ponte si girano verso le amiche ancora in fila, forse per fare loro invidia.
Arriva il mio turno e il security mi chiede l'invito. Lo guardo negli occhi, come se avessi mezzo chilo di droga nel sangue e 10 milioni di euro in banca: mi tolgo dalla bocca il rotolino, gli faccio un cenno e glielo lancio in mano, e passo prima che decida se aprirlo e controllarlo o mandarmi solo affan****.

Il festino non è molto diverso da altri che ho visto a Cannes, se non per la segretezza e inaccessibilità del posto. E' appena cominciato, e vedo già diverse ragazze pronte a farsi scannare da qualche attore o chiunque dica di lavorare nel cinema (e io ho il badge da professionista, uaz! uaz!).

E' un po' come essere nel film Eyes Wide Shot.

Comunque 13 minuti dopo lascio la musica e sono di nuovo sulla via di casa, perché ora ho una storia da raccontare, e perché non ho capito niente della vita.

18 maggio 2009

L'ESTASI PRIMA DELLA TEMPESTA

Oggi è trionfo, domani si vedrà.

E' quasi un anno e mezzo che sto lavorando al mio progetto di film: alcune buone notizie, molte speranze infrante, lunghi periodi di frustrazione, e per quanto vicino sembrasse ogni volta il traguardo interveniva sempre qualcosa che all'ultimo momento tirava un calcio a quello che avevo fatto fino ad allora, e bisognava ripartire.

Per quanto un potenziale partner si dicesse interessato, prima di mettere per iscritto il suo interesse pretendeva un mio contratto con un distributore, senza capire quanto assurda era la richiesta, perché chi mai avrebbe fatto un contratto a me che non sono nessuno, quando il film non esiste ancora?

Ma oggi Charles, il mio distributore americano, mi ha dato una bozza di contratto da far vedere al mio avvocato, e se va bene domani firmiamo.

Tengo tra le mani questi 5 fogli scritti in inglese, e che potrebbero significare la realizzazione del mio film.
La bocca vuole sorridere, gli occhi vogliono piangere.
Questi 5 fogli mi sono costati un anno di lavoro.

Domani il mio avvocato inizierà a spaventarmi su quanto questo contratto sia svantaggioso per me, e lo riempirà di grandi X e punti esclamativi.

Ma per questa sera è solo estasi.

17 maggio 2009

UN'ORDINARIA STORIA DI HOLLYWOOD

Oggi ho conosciuto un'attrice brasiliana che è vissuta molto tempo a Hollywood e che per pagarsi le spese per un certo periodo ha fatto la screaming girl [la ragazza che urla prima di essere uccisa] in diversi film dell'orrore a basso budget.

Una sera, mi racconta, è a una festa, e un ragazzo le prende il viso tra le mani e inizia a dirle, esaltato, che lei gli piace tantissimo, che ha visto tutti i suoi film e che vuole assolutamente fare qualcosa con lei.

Le scrive il suo numero su un foglietto e poco dopo lei lo butta, perché lo prende per un maniaco.
Caso vuole che di lì a poco lei parta per il Brasile, in cui per un anno fa una soap opera.

Stufa, torna a Hollywood, e vede il ragazzo della festa in televisione, ora famoso.

Era Quentin Tarantino.

EH, MA SE LE ISTITUZIONI NON SI MUOVONO...!

Qualche giorno fa ho parlato con un regista inglese di documentari. Mi ha spiegato che è un genere che alle giuste condizioni è un affare sicuro, ed è per questo che attrae un grande numero di film makers.

Così oggi ne parlo con una regista italiana, ma quando le dico che è considerato un affare sicuro sgrana gli occhi e mi dice:
"Eh, ma se le istituzioni non si muovono...!"

La cosa mi lascia perplesso: che c'entrano le istituzioni? Mi dice che in Italia a meno che lavori su commissione di qualche istituzione sei destinato a finire in perdita, quindi nessuno si muove. Perciò lei e la sua società cercano sempre soldi che non devono restituire, e non fondi da usare come investimento in un'ottica imprenditoriale.
Mancano le istituzioni, mancano i documentari.

Ma il problema sono davvero le istituzioni o i film makers?
Perché in fondo quello che importa a me come film maker non è trovare i soldi, ma realizzare i miei progetti, e i soldi sono soltanto un mezzo per raggiungere i miei scopi.
Se voglio realizzare un progetto e un'istituzione non me lo finanzia non penso di lasciar perdere, ma a come trovare un altro modo per realizzarlo.

Per il mio film, per esempio, ho contattato le istituzioni, poi grandi possibili investitori, poi dei piccoli, poi aziende che potessero fare pubblicità nel film, banche che potessero sponsorizzarne una parte o farmi un prestito, aziende che investono in progetti grandissimi come centri commerciali, produttori stranieri, business angels italiani, commercialisti che applicassero a fondi europei, poi un amico di Buffon, Baggio, il procuratore di Gattuso, Maria De Filippi, Luca Barbareschi, Eros Ramazzotti, Vasco Rossi e un altro po' di canali che adesso non mi vengono in mente, e quando dopo 7 mesi qualche giorno fa ho incontrato il mio amico Gabriel, che farà le musiche per il mio progetto, mi ha detto "Ancora a questo punto? Ma che hai fatto finora?".

Noi film makers vogliamo raccontare storie di passione, di grandi lotte, frustrazione e trionfi, ma per quanto riguarda gli italiani la realtà è che siamo in linea di massima pigri, e forse non abbiamo mai lasciato le corti rinascimentali in cui gli attori si esibivano davanti ai nobili che pagavano loro lo spettacolo, per cui avevano il guadagno assicurato e non dovevano preoccuparsi troppo che lo spettacolo fosse bello.

Ecco una bella storia che dovrebbe far riflettere tutti noi italiani: riguarda un mio amico che ho conosciuto un anno fa a Cannes e ho incontrato oggi per caso:
Geoff Talbot ha scritto una sceneggiatura per un film con un cane a 3 zampe, e ha messo sul suo sito una pagina dedicata ai cani senza famiglia. Nella home page e in alcuni siti di social networking ha scritto che sta cercando un cane con 3 zampe per il suo film, e improvvisamente il suo sito, da 100 viewers al giorno è passato ad averne 2.800, così ha fatto un accordo pubblicitario con una società che produce cibo per cani, per un importo di 250 mila dolllari, che userà per finanziarsi il film.

Va bene, non è entusiasmante come andare a chiedere i soldi alle istituzioni, ma anche questa è un'idea, diamogliene atto.

NON E' FACILE SPUTTANARSI

Parlo con un regista di cortometraggi italiano, che mi dice di aver speso 20 mila euro per il suo film.
Gli dico che non capisco bene questo mondo, perché è fine a se stesso, non circola denaro ed è riservato più che altro agli addetti ai lavori e agli appassionati. E' quella che in inglese si chiama una calling card, cioè invece di dare un biglietto da visita dai un DVD con quello che sai fare.

Ma è dura la vita per chi vuole intraprendere questo mestiere: dedichi tante energie, fai tanti sacrifici e metti ogni soldo per curare il tuo progetto e poi non te lo guarda nessuno, mentre un ragazzino obeso che canta in playback l'ultimo successo dance davanti a una webcam ha milioni di viewers: è frustrante.

Il regista attacca il solito pizzone che ho sentito tante volte sulla generazione youtube, su quanto la gente sia stupida e non cerchi i contenuti, di come il digitale stia rovinando il cinema e che se fosse per lui girerebbe tutto su pellicola e a rallentatore.

E ho sentito questo discorso così tante volte che oggi, invece di dargli corda, gli dico:
"E se avessero ragione loro?".

Noi che vogliamo fare cinema siamo pieni di noi stessi e delle nostre idee. Segretamente ci sentiamo tutti geni, e se gli altri non ci capiscono è perché non sono abbastanza intelligenti.

Ma se avessero ragione quelli che usano la webcam? Se ci fosse un nuovo linguaggio che noi non riusciamo a capire perché siamo troppo presi dalle nostre idee, e invidiosi perché il ciccione che canta a torso nudo è visto da milioni di persone in tutto il mondo e passa anche al telegiornale, mentre noi gioiamo se il nostro cortometraggio da 20 mila euro è clickato più di 20 volte?

C'è qualcosa di più complesso, che noi intellettuali e puristi non riusciamo a cogliere per il segreto rancore e l'invidia che proviamo.
Non si tratta di fare i buffoni, o auto umiliazione, ma di qualcosa che non riesco a capire, e che qualcuno senza tutta la passione che abbiamo noi riesce a cogliere e trasmettere per primo.

Questo inverno c'è stata una grande nevicata, e ho filmato un certo numero di miei finti scivoloni amatoriali. Ho scelto il migliore e l''ho uploadato su internet con parole chiave mirate, vicino a filmati che mi interessava che la gente guardasse.
Infine ho girato il link a tutta la mia rubrica come se fosse vero.

HUGE TUMBLE ON THE SNOW - MEGA SCIVOLONE SULLA NEVE


L'obbiettivo dell'esperimento era vedere se:
1) Collezionasse un numero altissimo di viewers.
2) Trascinasse anche i filmati che mi interessava far vedere.

Il risultato è stato deludente: i miei amici l'hanno guardato, e così altri che lo hanno trovato per caso in rete, ma il numero dei viewers non è stato molto diverso da quello degli altri filmati, e il numero dei viewers negli altri filmati non è cambiato in modo significativo.

Questa è una prova semi scientifica per tutti quelli che vogliono fare i film e si sentono superiori: la gente non è per forza cretina.

Il mondo cambia, e il digitale ci aiuta, non è un nemico.
Se noi non siamo disposti a cambiare rischiamo di fare la fine di chi produceva ottime diligenze quando ormai tutti andavano in treno.

15 maggio 2009

LA RIVINCITA DI UN ITALIANO

Molti italiani (e io ero tra quelli) pensano che il modo migliore per imparare l'inglese sia andare a Londra. Non è così, per almeno 2 motivi: 1) Ci sono troppi stranieri e troppi connazionali con cui si finisce sempre per parlare la propria lingua; 2) A Londra ci sono troppi accenti, e la maggior parte degli inglesi ha una pronuncia sporca.

In particolare il secondo punto è pericoloso per uno straniero, a meno che non si tratti di una bella ragazza (con cui sono tutti gentili), perché gli inglesi tendono a schiacciarti psicologicamente, a farti credere che il tuo inglese sia molto brutto (e il fatto che li capisci con difficoltà ne è la prova). Quando parli fanno espressioni come conati di vomito, come se provassero un profondo schifo a starti ad ascoltare, e questo contribuisce a farti perdere la fiducia in te stesso.

Soprattutto all'inizio della tua permanenza, quando davvero capisci poco di quello che ti dicono, sviluppi un certo linguaggio utile per non far proprio vedere che sei fuori dal mondo: sorridi, acconsenti quando ti dicono qualcosa che termina come una domanda e rispondi cose del tipo "Uhmbeue, ueue, yes".

Il linguaggio dei mugugni diventa un modo di comunicare a se stante, anche tra stranieri, perché spesso il forte accento nazionale di francesi, cinesi, indiani e così via ti impedisce di capire cosa dicono.
Mi ricordo in particolare quando dovevo essere al lavoro alle 7 del mattino e si dovevano scambiare 2 chiacchiere di cortesia, ma nessuno aveva voglia di parlare. Le nostre conversazioni erano:
- Hu.
- He hao, humh?
- Hm, bimbu. Hue?
- Ah! Hafm humoh.
- He, humou.
- Ieo.

Che vuol dire:
- Ciao.
- Hey ciao, come va'?
- Sono già stanco. Tu?
- Ah! Odio alzarmi così presto.
- Beh, ci vediamo più tardi.
- Ciao.

C'è rancore nei confronti degli inglesi che hanno un accento così forte e fanno grossi errori di grammatica. Con tutta la fatica che facciamo noi stranieri a imparare la loro lingua, dovrebbero avere l'obbligo morale di parlarla perfettamente, invece è come se un italiano si rivolgesse a uno straniero in siciliano, e quando quello non lo capisce rinfacciargli pure che non parla la lingua.

Così oggi sono al padiglione inglese per un appuntamento di lavoro, e parlo con un collega. Un altro ragazzo si avvicina e mi dice qualcosa che non capisco.
Vado nel pallone e non so cosa rispondergli, e prontamente, con un forte accento dell'est di Londra, quello mi rinfaccia che non parlo inglese.

E qui mi sale la carogna.
- Francese? - gli chiedo.
Mi dice che lo parla un po'.
E ora ti aggiusto io.
Senza dargli tempo di reazione gli dico:
- Ouelletement comment la grophiere du la stragne se suffi ou Festival, c'est vrai?
Il suo sorriso diventa plastico, e io vado avanti come un rullo compressore, molto cordiale e scandendo bene le parole:
- Sa la meme fu selui a Cannes, pas de course, c'est vrais...? Oui?
- ...Oui...
- Parle pas francais? Mh.
E con un sorriso cordiale e distaccato torno al mio meeting. Che soddisfazione.

P.S. per chi non parla francese: Quelli erano suoni a caso, pronunciati alla francese.

14 maggio 2009

IL GIORNO IN CUI HO INSULTATO JAMES GRAY

Sono a Cannes, giornata quasi finita, entro al Palais Stéphanie e sento che sul terrazzo stanno aspettando Francis Ford Coppola per una conferenza.

Quindi prendo l'ascensore, che è molto grande, super lusso, e abbastanza pieno.
In particolare attira la mia attenzione una bella scollatura sul lato opposto all'entrata.
Tutti sono zitti.

Improvvisamente mi rendo conto che devono essersi accorti del mio sguardo forse troppo insistente, perchè guardano tutti in basso e ridacchiano.

Distolgo lo sguardo e mi accorgo che davanti a me, a distanza bacio, c'è un ragazzo alto e magro e senza badge, con l'aspetto di un secchione, che mi è familiare.

Un anno fa ero alla première del suo film, in cui c'erano come ospiti d'onore lui (il regista) e Gwyneth Paltrow.

Esclamo:
- Hey, mi sa che ti conosco!

Tutti scoppiano a ridere, perché pensano che io stessi fissando lui, e aspettavano una mia reazione.

- Il tuo film l'anno scorso, bello.
- Grazie per non aver detto che era pure brutto.

E usciamo.

P.S.: La scollatura in ascensore era di sua moglie.

I PREZZI DI CANNES


Oggi ho pagato 26 euro per 2 bicchieri di succo di frutta.
La cosa incredibile è che la mancia era a parte.

07 maggio 2009

CANNES AD PORTAS

Il Festival di Cannes si sta avvicinando, e io mi preparo.
Questa volta sono più preparato dell'anno scorso, ma forse proprio per questo sarà ancora più difficile.
Propongo un estratto del mio diario sul film che sto producendo, sull'esperienza dell'anno scorso iniziata in modo fallimentare (e poi conclusa con successo), perché mi piace ridere di quello che mi succede, di tanto in tanto.

PRIMO GIORNO A CANNES
Il viaggio è pesante, soprattutto perché arrivato a Nizza devo aspettare ore prima che arrivi il treno che mi porta a Theule.
Immagino che questa sia un’altra stazione di Cannes, come Cannes La Bocca. Invece, quando finalmente arrivo, non c’è niente.
Non c’è una biglietteria a cui chiedere informazioni, non c’è neanche un bar. L’unica cosa è un cartello con il numero di cellulare di alcuni tassisti, e decido di chiamarne uno. Il mio francese è troppo arruginito per tentare ogni comunicazione, quindi parlo in inglese.
L’uomo non capisce, e dopo qualche tentativo di spiegargli anche col poco francese che ricordo dove mi trovo (Gare de Theule) mi riattacca il telefono in faccia.
Sono distrutto. Il viaggio, e adesso questo, stroncano ogni voglia che avevo di cominciare quest’avventura, e vorrei essere a casa.

Provo con un’altra tassista, e con tante difficoltà alla fine mi dice che verrà e mi troverà. Brava: sono l’unico essere vivente a perdita d’occhio, davanti a una stazione che è più un binario, con le valige e in mezzo alla strada, vediamo se ci riesci.

Il taxi arriva e partiamo. Chiedo dov’è Cannes, e si mette a ridere, e mi dice che è a 18 Km, a una fermata di treno. Mi viene freddo, perché io avevo prenotato un albergo a Cannes, in modo da non avere problemi di orario, tornare per una doccia e uscire di nuovo, cercare di fare vita sociale, che è la cosa importante. Invece l’albergo è in provincia di Cannes, e questo ci vincolerà moltissimo.
Un errore che non dipende da me, ma dal sito in cui ho prenotato (Expedia), e ormai è tardi. Ho prenotato mesi fa per essere sicuro di trovare posto, ora non ci sarà più niente.
Il posto non è così vicino, e penso che un altro problema sarà arrivare dall’albergo alla stazione. Non tanto per me, perché sono un buon camminatore, ma per Sophie.
Il paese sembra molto piccolo, ma il taxi non si ferma e inizia a salire. Sento gelarmi il sangue sempre di più. Il costo della corsa continua a salire

Arrivati in cima alla montagna troviamo l’albergo. Vado alla reception e dico chi sono.
È stata dura finora, ma troverò una soluzione a tutto, e mi impongo di essere di buon umore, perché questo è un grande investimento per me, e non solo in denaro. Devo essere con la mente limpida e pronto a fare business.
Mentre la ragazza controlla i registri le chiedo come si arriva in paese, e lei, tranquillamente, risponde Macchina. Va bene, dico sorridendo, ma se non ho la macchina?

È solo quando lei parla di nuovo che forse per la prima volta nella vita capisco cosa vuol dire l’espressione Mi è mancata la terra sotto i piedi, e dice
“Taxi”.
“Ho appena pagato 30 euro di taxi dalla stazione a qui, e mi vuole dire che non c’è altro modo di arrivare?!?”.
Se fosse davvero così dovrei spendere almeno 100 euro in più al giorno, tra me e Sophie, solo per andare e tornare a Cannes, ed essere comunque vincolati agli orari dei treni. Avrei speso di meno a prenotare un albergo a 4 stelle sulla via principale di Cannes.

Tranquilla, la ragazza mi dice di no (non c’è altro modo di arrivare all’albergo), e poi che non c’è nessuna prenotazione a mio nome.
Attonito, tiro fuori la mia prenotazione, la legge e mi dice che io ho prenotato il residence Ocean, mentre qui è l’albergo Ocean.
Quindi il taxi mi ha portato nel posto sbagliato? Lo chiedo quasi con speranza, perchè questo mi darebbe ancora la possibilità di sperare che il mio albergo non è così fuori dal mondo.
Mi dice che il posto è lo stesso, solo che da una parte fanno albergo, e dall’altra residence.
Ho capito: è cretina. Peccato, perché è una bella ragazza.

Le chiedo allora di aprire il registro del residence e di darmi la chiave: la mia partner dovrebbe essere arrivata di mattina.
Mi dice che non può, perché sono 2 aziende diverse, con 2 persone diverse alla reception.
“E dov’è la reception del residence?”
“Qui”.
Tanto bella, e con l’intelligenza di un bruco: mi fa così pena.
“Allora posso parlare con la receptionist del residence?”
Le batoste finora si sono moltiplicate, e sembra che continueranno così. È come se un velo di apatia si fosse posato sulla mia mente, e ora mi sento solo come trascinato dalla corrente di un fiume, senza opporre resistenza.
Mi dice di no. La conversazione è surreale, e quando le chiedo perché mi risponde che la reception è chiusa.

Provo a chiamare Sophie, ma ha il cellulare spento, quindi chiedo come posso fare per accedere alla stanza. Mi dice che c’è un numero da fare per chiedere la combinazione della cassetta di sicurezza in cui sono contenute le chiavi. Il numero ha un costo paragonabile a un telefono erotico.

Chiamo, e dopo messaggi preregistrati di pubblicità, che azzerano velocemente il credito telefonico, parlo con un’operatrice che non sa l’inglese e neanche l’italiano. Il che è comprensibile, per chi lavora nel settore alberghiero, e non ho motivo di aver voglia di prendere a calci il bancone.

La ragazza mi dice che non risulta una mia prenotazione, e io ho un déja vu. Le dico che sono nel residence, e non nell’albergo. Lei passa qualche altro minuto a cercare e poi mi dice che non c’è niente, e si prepara a chiudere la comunicazione. Insisto, e allora mi dice Ah, ma è a Theule?
“E DOVE...? Sì sono a Theule”.
Quindi controlla e mi conferma la mia prenotazione. Bene: oggi non dormirò sotto i ponti.
Mi dice che ora mi darà il numero segreto con cui accedere alla cassetta e prendere la chiave, di prendere carta e penna e scrivere...
Cade la linea. Tutti i soldi che ho messo nel telefonino in previsione del Festival di Cannes, sapendo che avrei dovuto fare molte chiamate, se ne sono andati in meno di un’ora.

E ora non posso neanche comunicare con Sophie.
Odio la Francia, odio i francesi, odio questo albergo e in linea di principio ho anche una certa antipatia verso il Festival di Cannes.
Chiedo alla receptionist di usare il loro telefono, e lei, riluttante, me lo porge e va da un’altra parte.
Ma il telefono non funziona. Provo a mettere prima uno 0, poi a mettere prima un 9, ma niente. Torno da lei a dirle il mio problema. Lei arriva, infastidita, e mi sblocca il telefono con un codice di 4 cifre.
Le chiedo scusa: stupido io a non pensarci.

Rifaccio tutta la telefonata. L’operatrice è diversa, ma per fortuna neanche lei sa altre lingue al di fuori del francese. Per la terza volta mi dicono che non c’è la mia prenotazione e poi la trova.
Mi dice di prepararmi carta e penna per darmi il codice segreto, e quando sono pronto lei abbassa la voce, probabilmente per non farsi sentire dalle colleghe, e mi sussurra:
“1... 2...”
Dopo che dice 3 smetto di scrivere, e a 4 mi cade la biro sul bancone.
Il segretissimo codice che mi è costato almeno 100 euro di credito telefonico è 1 2 3 4.

(continua)